Donne e Scienza: le loro storie, la nostra sfida – Intervista a Francesca Rapparini Saracino di CNR-IBE

In occasione della Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza, che si celebra l’11 febbraio, abbiamo intervistato 5 donne che lavorano nell’Area Territoriale di Ricerca CNR di Bologna. Il nostro obiettivo? Accendere i riflettori su una realtà che spesso passa inosservata o inascoltata: il divario di genere nel mondo della ricerca scientifica. 

Vogliamo parlare di ostacoli invisibili, di leadership ancora troppo sbilanciata, di talenti che faticano a emergere non per mancanza di merito, ma per un sistema che non sempre gioca a favore delle donne. Dati e statistiche non sono troppo incoraggianti, ma la scienza non è fatta solo di numeri, è fatta di persone. Di donne che ogni giorno mettono talento, passione e competenza in un mondo che spesso non le riconosce abbastanza. 

Vogliamo capire a fondo la situazione, analizzarla con dati e testimonianze, e soprattutto aprire un dialogo su come cambiare le cose. Abbiamo pubblicato un primo articolo per offrire una panoramica generale > se te lo sei perso, lo trovi qui.

Nei prossimi articoli lasciamo parlare le cinque donne, cinque storie diverse ma con un filo conduttore comune: la determinazione di andare oltre gli ostacoli e dimostrare che la scienza ha bisogno della loro voce. Il cambiamento è già in atto. 

 

Intervista a Francesca Rapparini, biologa e ricercatrice CNR-IBE (Istituto per la BioEconomia) presso l’Area Territoriale di Ricerca CNR di Bologna 

 

Come si caratterizza la disparità di genere nella ricerca scientifica? e che conseguenze ha o rischia di avere sui percorsi formativi e professionali delle donne del settore? 

Le donne in tutti campi scientifici hanno svolto e continuano a svolgere un lavoro significativo per far avanzare e progredire la scienza. L’emergenza del COVID-19 ha rappresentato un’occasione per porre le donne al centro di alcune delle ricerche più cruciali negli ultimi anni. Tuttavia, la disparità di genere è una realtà che anche nella comunità scientifica permane. La considerazione delle donne nella scienza ricade purtroppo sovente in pregiudizi e stereotipi di genere, inquadrando e limitando le donne a ruoli sociali antichi. Come in altri contesti lavorativi, è evidente una ridotta rappresentazione delle donne nella scienza, dal livello di ricercatrice fino ai ruoli direttivi con potere decisionale. Si registra un’inadeguata valorizzazione della ricerca condotta dalle donne con conseguenti limitazioni alla progressione nella propria carriera professionale. 

Se questi aspetti di disparità di genere risultano trasversali alle varie discipline scientifiche, si nota comunque una significativa differenza quando analizzati a livello internazionale. Se purtroppo è pervasivo un atteggiamento generale di pregiudizio verso le donne nella ricerca scientifica, è indubbio che le opportunità per le donne sono maggiori in alcune realtà nazionali rispetto ad altre, in alcuni casi con migliori possibilità di conciliazione della vita famigliare con la carriera scientifica. In diversi contesti di ricerca, soprattutto nel nord Europa, le assenze per maternità, ad esempio, sono esplicitate dalle ricercatrici nei propri curriculum perché considerate nel loro contesto lavorativo come ‘normali’ o comunque ‘previste’ per una donna, mentre nella nostra realtà nazionale in alcuni casi possono essere omesse per il timore di essere penalizzate quando valutate per l’accesso a posizioni con responsabilità o a finanziamenti 

 

 Perché credi che sia necessario dedicare una giornata alla Donna, scienza e ragazze? 

Innanzitutto, perché l’attenzione generale alla ricerca scientifica rimane ancora limitata, e ancora di più verso le donne scienziate. Rimane marginale la conoscenza e la consapevolezza del loro ruolo, delle criticità e sfide che devono affrontare. La celebrazione di una giornata a loro dedicata può quindi promuovere la valorizzazione scientifica e sociale del loro contributo nella scienza, aumentarne la loro visibilità non solo per un bene individuale, ma soprattutto per un bene collettivo, che tragga così beneficio da una maggiore partecipazione femminile alla ricerca scientifica. Una giornata celebrativa diventa quindi un’opportunità per cambiare la percezione e lo sguardo delle persone verso le donne nella scienza, stimolando e condividendo esperienze, pensieri e potenziali soluzioni di sostegno che incoraggino sempre più le generazioni future di talenti femminili nelle comunità scientifiche. 

 

Ad oggi, secondo te, quanto siamo lontani dalla parità di
genere nel mondo della ricerca? Cosa pensi sarebbe necessario per
raggiungerla? 

Negli ultimi decenni è in corso un cambiamento verso una maggiore uguaglianza di genere nella scienza. La comunità scientifica del CNR è diretta e guidata da una Presidente donna con elevato profilo professionale, come stanno aumentando le direzioni di Istituti da parte di donne scienziate. Tuttavia, esistono ancora disuguaglianze che influenzano l’accesso delle donne alla scienza e le carriere professionali delle donne nella scienza. Occorre ancora potenziare questo percorso di parità di genere affinché le donne possano affermarsi nel mondo scientifico attraverso azioni e opportunità concrete. Le nuove generazioni di scienziate sono sempre più attente e sensibili a tale aspetto e rivendicano con determinazione tale diritto di equità di genere attraverso diverse modalità. Un esempio è presente nella nostra realtà cittadina di Bologna dal 2017 un gruppo di giovani scienziate porta avanti il progetto ‘She is a scientist’ (https://sheisascientist.com) per valorizzare l’apporto delle donne alla scienza attraverso varie attività che hanno l’obiettivo di studiare la percezione di chi si occupa di scienza nella comunicazione sui social media, creare consapevolezza sui fattori che creano gender equality in scienze e ricerca, promuovere un nuovo storytelling della scienza per incentivare una narrazione più equa e costruttiva. Tutti argomenti di cui condivido l’importanza per migliorare la parità di genere nella scienza. 

Per aumentare la partecipazione delle donne alla scienza e per promuovere la loro inclusione nel settore, il punto di partenza risiede nelle scienziate stesse affinché raggiungano una maggiore consapevolezza dei propri valori e diritti di equità, del diritto di rivendicare il riconoscimento delle proprie professionalità e il diritto di uguali opportunità di accesso a finanziamenti e posizioni professionali. 

Parallelamente, come in tutti gli ambiti lavorativi, è tuttavia necessario un importante cambio socio-culturale per evitare una distorta percezione della ricerca svolta dalle donne e del loro ruolo. La parità di genere richiede una società che riconosca e valorizzi le competenze, senza discriminare sulla base del genere.  

Tuttavia, è importante sottolineare come una necessità di maggiore valorizzazione ed inclusione delle donne nella ricerca scientifica, non debba implicare una selezione basata su una discriminazione positiva, ma sempre sul merito, e sulla capacità e competenza del richiedente, indipendentemente dal genere.  

Per questo motivo ritengo che sia importante un processo continuo di revisione dei metodi e degli approcci con cui le opportunità vengono fornite per garantire una reale uguaglianza di genere. 

Un altro punto importante è dare voce alle donne che hanno fatto carriera nella ricerca scientifica. Ad esempio, attraverso la diffusione degli articoli, delle scoperte, o attraverso una narrazione che raccolga la storia del proprio percorso professionale e il 

punto di vista delle donne scienziate. Gli esempi di donne pioniere che hanno contribuito alla ricerca scientifica sono numerosi, passati ed attuali, ma manca una narrazione diffusa che raggiunga efficacemente diversi ambiti, da quello educativo a quello sociale. Comunicare come il contributo delle donne sia stato ed è influente in settori scientifici inaspettati, sfidando posizioni scientifiche consolidate, può aprire la strada alle future generazioni di scienziate di talento. Nella mia lunga esperienza di divulgazione scientifica nelle scuole, mi è capitato in alcune occasioni di percepire e rilevare pregiudizi di genere da parte di giovani studenti e bambini. L’ambito educativo diventa quindi un contesto fondamentale per promuovere una narrazione corretta delle donne nella scienza. 

Una chiave di svolta nello scavalcare questi stereotipi e scommettere su una scienza più inclusiva, è nata dalla creatività e curiosità di scienziate, che hanno promosso l’interazione della scienza con diverse discipline umanistiche, artistiche e sociali. Ed ecco che spettacoli teatrali, cortometraggi, ma anche libri, piattaforme web, social media ed eventi pubblici pensati e realizzati da o con il contributo di scienziate, hanno rappresentato occasioni ed opportunità per amplificare le voci e le storie delle donne nella scienza, contribuendo ad avvicinare le persone a richiedere e sostenere una parità di genere anche in questo ambito. 

 Durante il tuo percorso nella scienza, hai mai considerato di cambiare strada a causa di ostacoli legati a stereotipi di genere o pressioni sociali?  

 

 Credo fortemente nella ricerca scientifica come ‘motore e guida per il futuro’ e credo quindi al fondamentale contributo delle donne nella scienza e alla consapevolezza di abbattere questi pregiudizi. Nel corso del mio percorso professionale ho fortunatamente incontrato esempi di figure femminili che andavano oltre ogni stereotipo di genere, e che superavano le disparità della comunità scientifica di riferimento. Attualmente rilevo sempre di più questa attenzione all’equità di genere nelle nuove generazioni di ricercatrici, che rivendicano con fiducia un possibile cambiamento in tale direzione. Mi sono sempre interessata alla storia non solo professionale, ma anche personale di figure scientifiche femminili. Ho così scoperto scienziate che hanno avuto un ruolo significativo non solo nella biologia vegetale, campo in cui svolgo ricerca, ma anche in altre discipline scientifiche, verificando come il contributo di queste donne alla comunità scientifica andasse oltre il loro lavoro di ricerca. Un esempio noto è quello della biologa statunitense Rachel Carlson che ha aperto la strada alle nuove sfide ambientali, rappresentando una figura influente per le successive generazioni di scienziate. Altre donne hanno contribuito all’avanzamento della scienza attraverso la partecipazione e la guida di importanti società scientifiche e la creazione di nuove riviste prestigiose di settore. Ci sono state e sono sempre di più scienziate che promuovono le collaborazioni interdisciplinari affacciandosi ed interagendo con le scienze sociali o con le arti per affrontare le nuove sfide scientifiche, attraverso approcci innovativi, inclusiquelli di educazione nelle scuole, di collaborazioni con i comparti industriali, e gli enti decisionali. 

Credi che, nella scienza, le donne abbiano oggi la stessa libertà degli uomini nello scegliere e nel costruire il proprio percorso di carriera?  

Nonostante ancora permangano i pregiudizi di genere strutturali nelle diverse comunità scientifiche, penso che le donne nella scienza possano riuscire liberamente a scegliere e a costruirsi un percorso professionale in maniera autonoma, consapevoli delle problematiche associate. 

Se da un lato è necessario rivendicare il diritto di poter contribuire equamente alla scienza, dimostrando che unire una profonda competenza con una vita famigliare è possibile, sulla donna scienziata c’è ancora un carico sociale molto importante ed occorrono sostegni adeguati a rispondere alle loro esigenze. E’ infatti fondamentale adottare misure e strumenti concreti per fornire alle nuove generazioni di scienziate reali possibilità paritarie, per poter sviluppare il proprio potenziale senza esserne limitate dal loro appartenere ad un genere. 

 
Qual è la frase più sessista e/o discriminatoria che hai sentito rivolgere a una professionista nell’ambito della ricerca scientifica? Se ti va, raccontaci un’esperienza che hai visto o vissuto.

In oltre 30 anni di lavoro nella ricerca scientifica, mi è capitato di vivere personalmente o assistere a pregiudizi espressi mediante frasi discriminatorie che, oltre a sminuire il valore e la credibilità delle donne nella scienza, rivelano come la professionalità scientifica di una donna possa essere fortemente vincolata non solo al suo genere, ma anche alla propria immagine intesa anche come status civile. Ad esempio, può capitare che in alcuni ambiti professionali scientifici noi donne siamo chiamate ‘signora’, mentre la controparte maschile viene presentata con il corretto titolo di studio. Tale atteggiamento apparentemente simula un segno di rispetto, in realtà “se avete passato un quarto della vostra vita a studiare, laurearvi, prendere un dottorato, imparare una lingua in più e fare un master di specializzazione, chiamarvi signora o signorina è un modo per ricordarvi che la vostra competenza viene comunque dopo il vostro status civile in rapporto ad un uomo” (cit. Michela Murgia). E quindi cominciamo a rivendicare il diritto di equità paritaria anche nella forma… 

 

Articolo realizzato da Giulia Magnani e Inés Pérez.