Donne e Scienza: le loro storie, la nostra sfida – Intervista a Emanuela Saracino di CNR-ISOF 

In occasione della Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza, che si celebra l’11 febbraio, abbiamo intervistato 5 donne che lavorano nell’Area Territoriale di Ricerca CNR di Bologna. Il nostro obiettivo? Accendere i riflettori su una realtà che spesso passa inosservata o inascoltata: il divario di genere nel mondo della ricerca scientifica. 

Vogliamo parlare di ostacoli invisibili, di leadership ancora troppo sbilanciata, di talenti che faticano a emergere non per mancanza di merito, ma per un sistema che non sempre gioca a favore delle donne. Dati e statistiche non sono troppo incoraggianti, ma la scienza non è fatta solo di numeri, è fatta di persone. Di donne che ogni giorno mettono talento, passione e competenza in un mondo che spesso non le riconosce abbastanza. 

Vogliamo capire a fondo la situazione, analizzarla con dati e testimonianze, e soprattutto aprire un dialogo su come cambiare le cose. Abbiamo pubblicato un primo articolo per offrire una panoramica generale > se te lo sei perso, lo trovi qui.

Nei prossimi articoli lasciamo parlare le cinque donne, cinque storie diverse ma con un filo conduttore comune: la determinazione di andare oltre gli ostacoli e dimostrare che la scienza ha bisogno della loro voce. Il cambiamento è già in atto. 

Intervista a Emanuela Saracino, ricercatrice CNR-ISOF (Istituto per la sintesi organica e la fotoreattività) presso l’Area Territoriale di Ricerca CNR di Bologna 

 

 Come si caratterizza la disparità di genere nella ricerca scientifica? e che conseguenze ha o rischia di avere sui percorsi formativi e professionali delle donne del settore? 

La disparità di genere che è una piaga sociale non indifferente in qualsiasi ambito lavorativo anche nella ricerca scientifica si manifesta in diversi aspetti, influenzando sia il percorso formativo e professionale delle donne, con una chiara propensione verso le STEM, che impattando notevolmente sugli avanzamenti in materiale scientifico/tecnologica in cui il ruolo di professioniste del settore sarebbe invece fondamentale. 

Riassumendo i principali problemi che riguardano tale disparità il primo dato che balza all’occhio, è che le donne sono meno presenti nei ruoli di leadership: nelle università italiane, nei centri di ricerca o nelle aziende tecnologiche. In queste ultime sembrerebbe anche stazionario nell’ultimo decennio il dato che dimostra che le ricercatrici hanno più probabilità di avere contratti a tempo determinato e meno stabilità rispetto ai colleghi uomini, rendendo più difficile costruire una carriera a lungo termine. Inoltre, a parità di competenze e ruolo, le donne guadagnano meno degli uomini. Dal punto di vista delle istituzioni non sono incoraggianti i dati che nel complesso dimostrano come i progetti di ricerca presentati da donne ricevono meno finanziamenti rispetto a quelli presentati dagli uomini. Risulta invece non incisivo la disomogeneità in termini economici, di valorizzazione del ruolo, nelle istituzioni di ricerca. Al contrario, nel privato il famoso gap economico è materia di discussione: il problema persiste e richiede interventi strutturali, come una maggiore trasparenza negli stipendi. 

Queste barriere formano un circolo vizioso che ostacola la crescita delle donne nella scienza. con gravi conseguenze. La disparità di genere induce minore fiducia nelle proprie capacità, sembrerebbe che le donne, anche quando hanno le stesse competenze degli uomini, tendono a sottovalutare le proprie capacità in materie scientifiche e tecnologiche con grave effetto sui percorsi professionali: Questo riduce le possibilità di proseguire nella ricerca e porta molte donne a lasciare il settore accademico prima di raggiungere ruoli di rilievo. Se i dati dimostrano che nei ruoli di ricerca avanzata e leadership la percentuale di donne scende notevolmente. In realtà lo scenario peggiore è quello che permane da generazioni, ossia che gli stereotipi basati sul gender gap scoraggino le ragazze a intraprendere carriere scientifiche. (es. nelle scienze matematiche la % di iscrizione di donne in Italia è bassissima e non supera il 12%). 

 

 Perché credi che sia necessario dedicare una giornata alla Donna, scienza e ragazze? 

Penso che dedicare una giornata alle Donne nella scienza serva in primis a dare loro visibilità per ispirare le nuove generazioni e accelerare il cambiamento verso una maggiore equità di genere nel settore scientifico e tecnologico. Dal 2015, anno in cui è stata istituita la giornata delle donne nella scienza nel mese di Febbraio, sempre maggiore è stato il numero degli eventi dedicati. Così ho conosciuto la storia di tante scienziate che prima non conoscevo, e che come nel mio caso possono diventare modelli di riferimento per le nuove generazioni. Occupandomi di neuroscienza, la Montalcini è prima che una scienziata, la mia eroina. Inoltre, non è un caso che venga definito fenomeno dell’”effetto Matilda”, quello per il quale contributi delle donne nella scienza siano spesso sottovalutati o attribuiti ai colleghi uomini. Eventi e iniziative legate a questa giornata aiutano a spingere governi, università e aziende a implementare politiche più inclusive, come borse di studio per studentesse STEM, sostegni per progetti di ricerca. 

Un professore dell’Università del Salento, mio concittadino, mi ha raccontato attraverso un suo scritto la storia di Ipazia, definita come “un cuore pensante” del suo tempo, non a caso considerata una figura emblematica di un’epoca di transizione, attraversata da sconvolgimenti notevoli, dove vengono meno secolari certezze; fu in vita molto combattiva con una sola arma a disposizione: la parola, il pensiero, la filosofia e la matematica come percorsi di verità. 

 

Ad oggi, secondo te, quanto siamo lontani dalla parità di genere nel mondo della ricerca? Cosa pensi sarebbe necessario per raggiungerla? 

La strada verso la parità di genere in generale e nella ricerca è ancora lunga, ma non penso sia irraggiungibile, con politiche mirate, maggiore sensibilizzazione e sostegno concreto, è possibile accelerare il cambiamento e costruire un sistema scientifico più equo ed inclusivo. 

Se le donne rappresentano circa il 35% dei ricercatori a livello globale, in media, però ricevono meno finanziamenti e meno opportunità di avanzamento rispetto agli uomini. Incredibile è un recente dato che dimostra che gli studi condotti dalle donne sono meno citati rispetto a quelli dei colleghi uomini, dimostrando in questo caso che necessaria è una rivoluzione culturale che agisca su una combinazione di fattori sistemici, culturali e psicologici. Ad esempio, si è visto che le metriche di impatto della ricerca, vale a dire h-index a parità di carriera è sempre superiore nell’uomo piuttosto che nella donna. Questo perché gli uomini tendono a collaborare e citare più frequentemente i colleghi con cui hanno già rapporti accademici o che appartengono alle loro stesse reti professionali. Se gli uomini sono già più citati, è più probabile che continuino a essere scelti come riferimento, amplificando il divario. 

Considerate tutte le scienze e settori tecnologici, la disparità è ancora più marcata in settori come intelligenza artificiale, ingegneria e informatica, mentre si nota una maggiore presenza femminile in ambiti come chimica, biologia e scienze farmaceutiche. In questo caso si dovrebbe agire promuovendo una maggiore visibilità e riconoscimento delle scienziate attraverso premi, conferenze e iniziative che promuovano la parità di genere e magari attraverso una revisione dei criteri di valutazione scientifica, includendo misure per garantire una rappresentanza più equa delle citazioni. 

In generale sarebbero auspicabili sviluppo di programmi educativi che combattano gli stereotipi di genere fin dall’infanzia, o che diano maggiore visibilità alle scienziate di successo per offrire modelli di riferimento. Ad esempio, tante donne nella ricerca sono attivamente impegnate nella divulgazione scientifica, all’interno delle scuole, sarebbe uno strumento efficace per portare il loro esempio a tutti. Anche l’aumento delle quote di genere nei finanziamenti alla ricerca per garantire pari opportunità ed incrementare la partecipazione di cooperazione tra gruppi di ricerca di donne sarebbe da incentivare. 

In caso di leadership di progetti dovrebbe essere garantito alle donne di potersi dedicare a pieno, migliorando la conciliazione tra carriera e vita privata: attraverso strutture di supporto per madri ricercatrici, come asili nido e flessibilità lavorativa in caso di congedi parenterali. 

La situazione di sbilanciamento, tuttavia, non è una condizione solo italiana, ho conosciuto diverse colleghe negli Stati Uniti che hanno affrontato le stesse difficoltà all’interno di Università pubbliche e private, sia legati alla maternità che a preferenze di inquadramento di uomini a donne.  

 

 Durante il tuo percorso nella scienza, hai mai considerato di cambiare strada a causa di ostacoli legati a stereotipi di genere o pressioni sociali?  

No. Ho provato a lasciarmi convincere di cambiare una strada tortuosa per una apparentemente più semplice, questo l’ho fatto tentando diversi colloqui e rifiutando altrettante proposte anche economicamente più allettanti. Sono sempre stata convinta di quale fosse il mio posto dal primo giorno da assegnista di ricerca nel 2013. Più che stereotipi di genere o assistito e subito a pressioni sociali. Mi sono trovata in un periodo, ancora in corso, in cui accontentarsi degli assegni di ricerca doveva essere una forma di ringraziamento. Fare il dottorato è considerato ancora come una formazione scolastica quando invece i dottorandi sono già professionisti che si stanno specializzando, ma questo accade non solo nel mondo scientifico. 

A volte presa dallo sconforto inviavo il mio CV in giro per l’Italia ed ogni volta che lo facevo ero sempre più triste perché le parole per cui non avrei avuto un futuro né sicuro né appagante arrivavano pungenti, ma come proiettili però rimbalzavano via non appena la tristezza veniva sostituita da un bel esperimento venuto bene o da un bel risultato in laboratorio. Ancora una volta mi sento di dover ringraziare i miei colleghi, il mio Istituto, il mio professore di tesi nonché amico e collega, uomini e donne indistintamente per tutto l’incoraggiamento e supporto avuto. Non ho neanche nessuna remora per chi invece poteva fare di più ma non lo ha fatto. 

 

Credi che, nella scienza, le donne abbiano oggi la stessa libertà degli uomini nello scegliere e nel costruire il proprio percorso di carriera?  

Nell’ultimo decennio molte donne in generale e nel caso specifico scienziate stanno dimostrando che il cambiamento è possibile, grazie a reti di supporto, programmi di mentoring e politiche aziendali ed istituzionali rivolte all’ equità di genere. 

Facendo una ricerca sulle percentuali globali nell’ambito della carriera nelle discipline STEM sembrerebbe che in Italia, il 39% delle lauree STEM è conseguito da donne, una percentuale superiore alla media europea, ma solo il 22% dei posti di lavoro tecnologici è occupato da donne. Se guardiamo al lato economico, sembrerebbe che nonostante i progressi in termini di numeri, vi è ancora un gap salariale consistente nel caso specifico delle STEM applicate al mondo aziendale, così come una maggiore instabilità contrattuale è rivolta alle donne piuttosto che agli uomini, che insomma fanno ancora carriera più velocemente. Nell’ambito di Istituzioni come il CNR i numeri sono i seguenti: circa il 47% è rappresentato da una componente femminile sul totale dei dipendenti, tra ricercatrici/tecnologhe, maggiore è la percentuale delle donne impiegate nell’ambito amministrativo e nettamente troppo basso, circa il 18%, ricopre un ruolo dirigenziale (dato 2021). Questo ultimo dato dimostra chiaramente una maggiore disparità di rappresentanza delle donne, questo spesso è anche dovuto alla mancanza di politiche adeguate di supporto alla maternità e alla conciliazione tra lavoro e vita privata. Sono convinta che tali supporti non dovrebbero riguardare solo le donne, ma garantire il medesimo diritto alla paternità, partendo dalle basi di una rivoluzione cul-turale adeguata ai tempi in cui ci troviamo. Aumentare la presenza femminile nelle STEM pertanto non è solo una questione di equità, ma anche di sviluppo economico e sociale. 

ISOF, rappresenta un bel esempio di gender balance ed equality, laddove la chimica, fisica, la scienza dei materiali e le scienze della vita sono principali tematiche sviluppate: 21 donne sono impiegate come ricercatrici e tecnologhe a tempo indeterminato e 22 uomini mentre 4 donne e 3 uomini sono inquadrati nell’ambito della segreteria ed amministrazione dell’Istituto, di cui V. Palermo è il direttore dal 2021. Inoltre, la co-stante collaborazione con le università mi rende testimone di una generazione fatta di ragazze, bravissime nell’ambito STEM, che intraprendono questo percorso o si avviano alla fase finale e che pertanto bisognerebbe incoraggiare, e giornate come queste, dedicate alle donne nella Scienza servono proprio a questo. 

Qual è la frase più sessista e/o discriminatoria che hai sentito rivolgere a una professionista nell’ambito della ricerca scientifica? Se ti va, raccontaci un’esperienza che hai visto o vissuto. 

A questa domanda risponderei con un’esperienza personale perché penso sia il miglior modo per coglierne il senso di quello che vorrei trasmettere. 

Spesso mi è capitato di sentirmi dire di aver “bruciato le tappe” in un paese in cui bisogna arrivare a 38-40 anni in media per una stabilizzazione, ed è questa l’età media sia per le donne che per gli uomini, nell’ambito della ricerca di base o accademica in generale. 

Io ne avevo 32 con alle spalle già circa 9 anni di precariato quando ho ricevuto la notizia di essere entrata al CNR, ricordo quel giorno come uno dei più belli nella mia vita, era il 2021. Alla splendida notizia di essere tra le “fortunate” nuove leve del CNR, poiché questo ci hanno insegnato a sentirsi fortunate e non brave, molti hanno festeggiato con me. Direi tutti nel mio Istituto e non solo. C’è chi ha mostrato grande solidarietà nella lotta al precariato e si è schierato in prima fila dinnanzi ad una battaglia che aveva un’elevata percentuale di essere persa. Sono lotte che nell’ultimo mese si stanno verificando di nuovo che sia per i concorsi appena conclusi dei passaggi di carriera in cui c’è poca chiarezza o per la stabilizzazione dei ricercatori precari ancora in attesa di un contratto. 

In questo scenario mi sono sentita sia fortunata, ma mai aiutata ed ho imparato anche in quest’ultimo anno a sentirmi brava. È una percezione che ho accettato nel momento in cui ho capito che ovunque andassi c’era qualcuno che apprezzasse senza pretese il mio lavoro o abbracciasse le mie idee, lasciandomi la piena libertà di espressione.  

Tuttavia, negli anni che hanno preceduto questi traguardi mi sono capitati commenti discriminatori e perché no sessisti. Questi facevano riferimento al mio aspetto fisico e ad allusioni sessuali, episodio che si è verificato proprio all’interno del CNR con dispiacere da parte di chi ha trovato per primo tali commenti sotto una mia foto. Tuttavia, noi donne siamo state forse abituate a dare poco peso a questi episodi perché in fondo ci viene detto che finché non ci capita nulla tutto è trascurabile. Non abbiamo mai indagato sull’origine del responsabile proprio per questo motivo. 

Spiacevolmente però devo ammettere che commenti discriminatori nella mia carriera ci sono stati, e purtroppo questa volta essi sono avvenuti da parte di altre donne. Credo che questo sia ancora più spiacevole se consideriamo la potentissima arma che noi donne abbiamo se decise a sostenerci e lottare insieme per qualsiasi diritto o cosa che si voglia raggiungere. Come potente è la solidarietà tra donne altrettanto forte è la capacità di distruggerci. Tuttavia, non è sempre così e anche di questo ne sono testimone. 

A tutte le ragazze che si avvicinano al mondo della ricerca io consiglierei di imparare a sentirsi brave prima ancora di sentirsi fortunate. Per ogni volta che mi sono sentita dire è bella piuttosto che brava ho scritto una pagina della mia carriera. 

Articolo realizzato da Giulia Magnani e Inés Pérez.