
15 Apr Donne e Scienza: le loro storie, la nostra sfida – Intervista a Francesca Alvisi di CNR-ISMAR
In occasione della Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza, che si celebra l’11 febbraio, abbiamo intervistato 5 donne che lavorano nell’Area Territoriale di Ricerca CNR di Bologna. Il nostro obiettivo? Accendere i riflettori su una realtà che spesso passa inosservata o inascoltata: il divario di genere nel mondo della ricerca scientifica.
Vogliamo parlare di ostacoli invisibili, di leadership ancora troppo sbilanciata, di talenti che faticano a emergere non per mancanza di merito, ma per un sistema che non sempre gioca a favore delle donne. Dati e statistiche non sono troppo incoraggianti, ma la scienza non è fatta solo di numeri, è fatta di persone. Di donne che ogni giorno mettono talento, passione e competenza in un mondo che spesso non le riconosce abbastanza.
Vogliamo capire a fondo la situazione, analizzarla con dati e testimonianze, e soprattutto aprire un dialogo su come cambiare le cose. Abbiamo pubblicato un primo articolo per offrire una panoramica generale > se te lo sei perso, lo trovi qui.
Nei prossimi articoli lasciamo parlare le cinque donne, cinque storie diverse ma con un filo conduttore comune: la determinazione di andare oltre gli ostacoli e dimostrare che la scienza ha bisogno della loro voce. Il cambiamento è già in atto.
Intervista a Francesca Alvisi, Ricercatrice CNR-ISMAR (Istituto di Scienze Marine) presso l’Area della Ricerca Territoriale di Bologna CNR
Come si caratterizza la disparità di genere nella ricerca scientifica? e che conseguenze ha o rischia di avere sui percorsi formativi e professionali delle donne del settore?
Il problema vero è che i nostri sistemi sono basati su un modello maschile del lavoro e non su uno femminile. Quindi le donne devono giocare su un terreno che è stato fatto a misura di uomo e quindi partono sempre svantaggiate salvo riuscire a rapportarsi in maniera ‘maschile’ e quindi peggiore degli uomini stessi. Inoltre, negli ultimi anni si è diffuso sempre più un modello aziendalistico della ricerca con crescenti pressioni in termini di prestazioni e risultati con sempre meno tempo per trovarsi, parlare, discutere e confrontarsi. I tempi si sono accorciati e lo stress è aumentato tantissimo.
Comunque, nella realtà si concretizza nelle progressioni di carriera, ma dipende molto dalla disciplina o dal settore. In quelli dove c’è una forte presenza di maschi, le posizioni apicali sono via via ricoperte da maschi. Questo ha a che fare con alcuni aspetti tra cui: uno culturale e sociopolitico (ad es. minore supporto in Italia alla carriera per le donne che scelgono di avere una famiglia); l’altro di presunta minor “attitudine al comando (anche qui è in parte culturale e in parte dovuto a quanto scritto sopra). Ma dove ci sono solo donne prevalgono spesso gli stessi meccanismi, anzi a volte esacerbati dal lato ‘femminile’ della competizione che agisce più su aspetti personali che professionali.
Perché credi che sia necessario dedicare una giornata alla Donna, scienza e ragazze?
Per mantenere alta l’attenzione sugli stereotipi di genere (es. le STEM non sono adatte alle femmine), sulle discriminazioni ancora fortemente presenti nel mondo della ricerca, per dare a ciascuno/a pari opportunità di carriera e lavoro dignitoso. Tutto ciò a patto però che non diventi poi uno strumento di ritorsione che utilizza gli stessi stereotipi contro i quali è nata.
Ad oggi, secondo te, quanto siamo lontani dalla parità di genere nel mondo della ricerca? Cosa pensi sarebbe necessario per raggiungerla?
In Italia, la parità di genere credo sia un problema culturale più generale che si riflette anche nel mondo della ricerca. L’aggravio però è che, in questo mondo, ci si aspetterebbe un più alto livello culturale e quindi una minore incidenza delle questioni di genere nel lavoro.
Durante il tuo percorso nella scienza, hai mai considerato di cambiare strada a causa di ostacoli legati a stereotipi di genere o pressioni sociali?
Sì, spesso, però a causa di “pressioni” esercitate più da parte di donne che di uomini.
Qual è la frase più sessista e/o discriminatoria che hai sentito rivolgere a una professionista nell’ambito della ricerca scientifica? Se ti va, raccontaci un’esperienza che hai visto o vissuto.
Un collega maschio anni fa che si rivolgeva ad una collega femmina, tra l’altro quasi coetanei lui poco più anziano di lei ma entrambi tra i 30 e i 35 anni, con questa domanda: “Ma tu cosa pretendi che sei incinta?”. Anche se credo si parlasse di progressione di carriera o di avere il posto fisso, in realtà non ho seguito tutta la discussione, ma ho colto solo questa “perla”.